Quanto costa aprire la partita IVA

 

Con l’avvio di un’attività, è necessaria l’apertura della partita iva. Quest’ultima ha dei costi, che concernono sia l’apertura che la gestione della posizione nell’arco di un anno. Per stabilire il valore economico di questo costo, un soggetto detentore di partita iva si rivolge a dei professionisti (come CAF e commercialisti) i quali indicano la strada migliore da seguire per adempiere agli obblighi di pagamento. Inoltre anticipiamo anche che a seconda del regime per cui il contribuente ha optato (ordinario, semplificato, forfettario) i costi annuali sono differenti.

 

I costi di apertura della partita iva

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Partiamo dal presupposto che aprire la partita iva non richiede nessun costo iniziale. In fondo non serve altro che scaricare un modello, compilarlo e consegnarlo presso l’Agenzia delle Entrate di competenza territoriale. Dopo aver selezionato infatti il codice ATECO non resta che occuparsi solo dell’aspetto burocratico, e il gioco è fatto.

 

 

Quelli che invece vanno affrontati sono i successivi costi di gestione.

Ovviamente la cosa cambia leggermente se anziché effettuare in autonomia l’apertura della posizione, ci dovessimo rivolgere ad un dottore commercialista. Quest’ultimo si occuperà in prima persona di scaricare modelli e compilarlo, facendo anche riferimento al codice di appartenenza, sulla base delle nostre indicazioni. Dopodiché per via telematica provvederà ad aprire la partita iva per conto nostro. In tal caso, dovremmo premurarci di pagare il professionista per lo scomodo, secondo il tariffario in vigore per i dottori commercialisti.

In linea di massima, ci sono onorari che possono arrivare anche a 500 euro, per la mera apertura della posizione, così come ci sono commercialisti che faranno il servigio gratuitamente perché convinti di aver guadagnato un cliente da gestire poi nell’arco dell’anno.

In alternativa possiamo anche farci dare un aiuto da un CAF o centri di assistenza fiscale, i quali sono anch’essi dotati di tariffari fissi per le pratiche di cui si occupano.

 

I costi fissi e i costi variabili: uno sguardo d’insieme

Appurato che la mera apertura non ha costi, cerchiamo di fare una distinzione tra quelli che sono i costi fissi e i costi variabili che di anno in anno un contribuente deve sostenere per la gestione della partita.

I costi fissi annuali sono tutti quegli importi che la legge ha previsto per ogni attività economica, indistintamente, da versare entro una determinata scadenza.

Viceversa i costi variabili sono oneri dipendenti dalle aliquote fissate per Irpef, Irap, Inps, Inail per l’anno di imposta di riferimento.

 

 

I contributi Inps

Uno dei primi costi fissi di gestione della partita iva è rappresentato dai contributi Inps. Questo devono essere versati dai detentori di partita iva che sono titolari d’impresa, per tutti i collaboratori dipendenti che lavorano in azienda.

Secondo la muova normativa sono tre le tipologie di contributo che il titolare d’impresa deve versare a seconda del principio del reddito minimo.

1) Il primo è il contributo al di sotto della soglia minimale di reddito. In questo caso si usa il contributo minimo obbligatorio come punto di partenza per il versamento dei contributi previdenziali.

2) Il secondo è il contributo al di sopra della soglia minimale di reddito: quando il reddito d’impresa è maggiore di quello minimale si versano gli eccedenti, contributi a percentuale.

3) L’ultimo è il contributo Eccedente il Minimale. Sono versamenti da effettuare a scadenza prevista per il pagamento delle imposte sui redditi (IRPEF).

 

Il diritto camerale e i contributi INAIL

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Il Diritto Camerale è un secondo costo fisso legato alla partita iva. Esso rappresenta un tributo annuo che le imprese obbligate sono tenute a pagare alla Camera di Commercio a fronte dell’iscrizione nel Registro delle Imprese.

A partire dall’anno 2019, i costi del diritto camerale saranno aggiornati, per cui bisogna confrontarsi con il proprio consulente per tutte le modifiche esperite a riguardo.

Per quel che concerne invece i contributi Inail, è un obbligo previsto solo per alcune tipologie di attività (che vedremo più avanti). L'Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro infatti garantisce una tipologia assicurativa d’obbligo a difesa di tutti quei dipendenti che si occupano di mansioni pericolose etichettate come potenziali motivi di infortuni sul lavoro o malattie professionali. Per rientrare in questa categoria l’attività del lavoratore deve essere strettamente correlata al rischio che egli stesso corre. In tal senso onde evitare ripercussioni sul datore di lavoro e per esonerarlo dalla responsabilità civile, l’azienda ha l’obbligo assicurativo INAIL.

Le attività rientrate per legge nell’elenco di quelle rischiose sono quelle che vengono esercitare attraverso l’uso di macchinari, impianti o apparecchi (sia elettrici che elettronici, nonché computer, cassa, centraline e così via).

Possono rientrare nell’elenco anche tutte le altre tipologie di mansioni che espongono ad un livello alto di rischio il lavoratore e che non per forza si ricollegano all’uso di macchine o apparecchi.

 

 

Costo partita IVA Regime forfettario

Quanto detto sino ad ora vale qualora il contribuente abbia optato per il regime ordinario. Se invece avesse scelto il regime forfettario, gli obblighi e i costi sono molto più snelli. Non solo infatti la tassazione sostituita è pari al 15%, ma non vengono applicate nemmeno le aliquote Irpef, Addizionali, Irap e Iva (senza dimenticare che si è del tutto svincolati dagli studi di settore e dal possesso delle scritture contabili; basta una semplice registrazione e numerazione delle fatture).

In questo caso si fa infatti riferimento ad un coefficiente di redditività stabilito dalla legge (che serve a determinare il reddito). Ad esempio per il libero professionista è fissato al 78%.

 

Partita Iva: costi in regime semplificato

Quando invece si opta per il regime della contabilità semplificata, il reddito non solo sarà soggetto all’Irpef, ma l’imposta ad aliquote cambierà secondo uno schema normativo, quale:

  • sino a 15.000 euro, l’imposta è pari al 23% del reddito imponibile;

  • da 15.0001 a 28.000, 27%;

  • da 28.001 a 55.000, 38%;

  • da 55.001 a 75.000, 41%;

  • da 75.001, 43%.

 

In questo caso il contribuente non è solo tenuto a versare l’IRPEF, ma anche le addizionali comunali, quelle regionali e in caso di autonoma organizzazione, il possessore di partita iva sarà anche soggetto al pagamento dell’Irap.

 

I costi variabili: quali sono

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Per quel che concerne i costi variabili che un titolare d’impresa affronta per la gestione della Partita Iva, essi sono differenti in base alla tipologia di Regime Contabile Fiscale scelto al momento dell’iscrizione. La variabilità tuttavia si ricollega anche alla eventuale iscrizione al Registro dell’Imprese e quindi anche al Codice ATECO di riferimento.

Cambia altresì l’importo anche se si tratta di impresa Artigiana, di Commerciante, di Professionisti e così via. Questo in quando, in base alla posizione sono differenti le Aliquote: Irap, Irpef, Inps, Iva, Inail.

 

 

Partita IVA: serve un conto corrente dedicato?

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Partita IVA: serve un conto corrente dedicato? a questa domanda, tralaltro molto comune, cercheremo di dare una risposta concisa ed univoca.

Per quanto riguarda i professionisti detentori di P.I. (ingegneri, consulenti, web designer, ecc) non esiste alcuna legge che impone l'apertura di un conto dedicato. Pertanto il conto personale (ad esempio qui su migliorcontocorrente.net trovi le ultime promozioni su svariati conti) può fungere anche da conto "di lavoro".

A dir la verità non sarebbe obbligatorio anche per le imprese iscritte alla camera di commercio grazie all’art.32 del D.L. n.112/2008 che abroga il comma che imponeva l'istituzione del conto dedicato.

In pratica è ormai prassi scontata che una società debba comunque avere un conto specifico esclusivamente utilizzato per la movimentazione aziendale e questo anche per motivi di trasparenza e legati all'antiriciclaggio.