Che cosa sono le acque reflue industriali?

 

Quando si parla di acque reflue, secondo quelli che sono i dettami dei decreti legge attualmente in vigore nel nostro paese (D.L. 152/2006 e D.L. 152/1999), bisogna fare distinzione tra acque reflue domestiche, acque reflue urbane ed acque reflue industriali.

 

In questo articolo vogliamo trattare di acque reflue industriali, dando una definizione e sviscerando l'argomento in ogni aspetto.

 

 

Acque reflue industriali: La definizione

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Partiamo da una definizione concettuale del termine acque reflue industriali. Secondo i decreti legge appena citati sono acque reflue industriali quelle che, diversamente dalle domestiche o dalle meteoriche di dilavamento, vengono scaricate dalle attività commerciali o dalla produzione di beni.

È stato il decreto legislativo n. 4 del 2008 a descrivere in questo modo le acque reflue industriali all’articolo 74 c.1 distinguendo le acque reflue domestiche da quelle industriali provenienti da fabbriche, industrie dedite alla produzione di qualunque bene (approfondisci depurazione acqua industriale).

La definizione di acque reflue deriva da quella propria di attività commerciali, definite come qualunque stabilimento in cui si producono beni, trasformano sostanze poi destinate allo scarico.

 

 

Prima di giungere alla definizione appena data, la differenza tra acque reflue commerciali e acque reflue domestiche si basava su un contesto prettamente qualitativo.

Si parlava infatti di acque industriali reflue come tutte le acque non considerate acque reflue domestiche e acque reflue meteoriche di dilavamento, nulla specificando in merito alla questione delle attività commerciali.

Con una pronuncia della Terza sezione della Cassazione Penale (21119/2007), i giudici hanno stabilito che nel novero delle acque reflue industriali vanno fatte rientrare tutte le acque di scarico che derivano dalle attività che non riguardano il metabolismo umano e le attività domestiche di quest’ultimo, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche.

Ecco che dal 2008 in poi, il nuovo criterio di individuazione è stato basato sulla provenienza, che è proprio la caratteristica distintiva della acque industriali provenienti da strutture che si occupano di attività commerciali o di produzione di beni.

 

 

Le diverse posizioni regionali

La domanda sorge alquanto spontanea: in tutta l’Italia la disciplina delle acque reflue industriali vale in maniera universale? La risposta è no.

Le regioni hanno infatti ampio margine decisionale a riguardo, potendo, secondo le proprie esigenze e secondo l’organizzazione industriale del proprio territorio, far rientrare nel novero delle attività commerciali che scaricano acque reflue quelle che più si adattano alla situazione regionale. Spieghiamoci meglio.

In virtù del tipo di industrie e del tipo di attività presente all’interno dei confini della regione, quest’ultima può decidere se concettualmente considerare le acque reflue industriali o se invece farle equivalente a quelle domestiche.

A dare questo ampio potere decisionale sono proprio i decreti legge nominati nei paragrafi precedenti, che possiamo quindi definire come norme bianche, ovvero norme aperte, che rendono le regioni libere ed autonome nell'arbitrare tutta questa delicata materia.

Da questo assunto ne consegue che, in virtù anche del principio generale secondo il quale le acque reflue industriali vanno identificate per provenienza e non per qualità, la Regione ha facoltà di indicare le caratteristiche qualitative ritenute equivalenti alle domestiche, o se invece rientrano in una categoria a sé stante.

 

 

Il parere giurisprudenziale

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Oltre all’ambito normativo ed ordinamentale, anche quello giurisprudenziale interviene al fine di dare una definizione di acque reflue industriali, così da poterle distinguere da quelle domestiche.

Oltre alla già citata sentenza della cassazione penale, ne troviamo un’altra (ovvero la n. 12865 del 24 marzo 2009, Ric.) secondo la quale, è confermato che le acque reflue industriali includono tutte le tipologie di acqua provenienti dallo svolgimento di una qualunque attività produttiva, dal momento che detti reflui non derivano in prevalenza dal metabolismo umano e dalle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche prevista dall’art. 74, c. 1, lett. g), del D.L. 152/2006.

Sempre lo stessa cassazione, si era già espressa qualche anno prima (con la sentenza n. 35870 del 3 settembre 2004), per la quale non si può distinguere tra acque reflue domestiche e tra acque reflue industriali sulla base del grado o della natura dell’inquinamento idrico, bensì sulla natura delle attività dalle quali provengono.

 

 

Da ciò, pertanto, ne deriverebbe che qualsiasi tipologia di acqua proveniente dalla realizzazione di un prodotto industriale, rientra fra le acque reflue industriali, ed il suo scarico in difetto di autorizzazione configura il reato di cui all’art. 59 del D.L. 11 maggio 1999, n. 152” (oggi art. 137 del D.L. 152/2006).

Ultima sentenza da citare in materia di acque reflue industriali è quella, sempre della Terza sezione della Cassazione Penale, che parte dalla fattispecie dei reflui da attività di carrozzeria per disporre che i medesimi non possono che essere ritenuti residui di acque reflue industriali, non assimilabili a quelle domestiche.

Questo in quanto non si possono ricondurre al metabolismo umano e non provenienti dalla realtà domestica. Una valida conferma insomma delle teorie sostenute dai decreti legge e delle conclusioni di altre antecedenti e successive sentenze in materia di acque reflue.